Il diritto al riuso: la lotta agli sprechi alimentari

C’è un paradosso che conosciamo bene: ogni anno nel mondo si sprecano circa 1,05 miliardi di tonnellate di cibo, all’incirca un terzo del totale prodotto per il consumo umano, mentre oltre 700 milioni di persone soffrono di malnutrizione e 2,3 miliardi vivono in condizioni di insicurezza alimentare moderata o grave (Waste Watcher International 2025). Lo spreco alimentare non è poi solo un problema etico: è responsabile di quasi il 10% delle emissioni globali di gas serra, utilizza circa il 28% dei terreni agricoli coltivati e oltre un quarto dell’acqua impiegata in agricoltura (Food Waste Index Report 2024).

In questo scenario, il traguardo fissato dall’Agenda ONU (Target 12.3) di dimezzare perdite e sprechi alimentari entro il 2030 lungo tutta la filiera è più che mai centrale, ma gli attuali trend mostrano quanto sia ancora lontano dall’essere raggiunto. Proprio questa difficoltà, però, sta obbligando governi e territori a ripensare politiche e strumenti. Nella stessa Emilia-Romagna, dove la povertà alimentare pesa in particolare nelle periferie urbane e nei piccoli comuni, la risposta si sta articolando su più livelli: il Piano regionale per il contrasto alle povertà 2025–2027 investe nel recupero delle eccedenze, nel sostegno alimentare e nell’accompagnamento sociale, mentre bandi e programmi dedicati ampliano la capacità dei territori di intercettare cibo sano per le fasce marginalizzate.

A partire da questo quadro, vale la pena guardare da vicino cosa sta accadendo nel territorio reggiano, dove iniziative molto diverse tra loro affrontano lo spreco in modo pratico. A Scandiano, per esempio, il progetto NO.WASTE FOOD, promosso dal Comune in collaborazione con il CEAS Terre Reggiane Tresinaro-Secchia, interviene sia nei locali pubblici sia nelle abitudini domestiche. Da un lato distribuisce foody bag compostabili a ristoranti, bar e pizzerie, invitando a normalizzare il gesto di portare a casa il cibo avanzato, superando l’imbarazzo ancora frequente. Dall’altro affianca a questa azione una rubrica online dedicata a metodi e ricette per utilizzare parti degli alimenti che spesso finiscono nell’organico, con video che mostrano come trasformarle in nuovi piatti, così da agire su quelle pratiche quotidiane che sommate determinano la maggior parte dello spreco domestico

Un altro fronte rilevante è quello delle mense scolastiche. CiMangio!, progetto avviato nei Comuni di Nonantola e San Giovanni in Persiceto, nasce da una pratica diffusa: ogni giorno viene preparato un margine di pasti in più per gestire imprevisti o richieste aggiuntive. Quel cibo, pur sano e controllato, fino a poco tempo fa veniva smaltito. Oggi, grazie ad un’app dedicata, vengono invece segnalate in tempo reale le porzioni avanzate, così che tutte le famiglie in situazione di bisogno possano prenotarle con un click e ritirarle a fine servizio.

Nella Bassa reggiana, dove opera Sabar, un’esperienza particolarmente significativa è quella dell’Emporio Solidale di Guastalla, il primo della provincia di Reggio Emilia, attivo dal 2016. L’obiettivo è quello di distribuire gli alimenti invenduti provenienti dalla grande distribuzione, creando un luogo stabile in cui le persone in difficoltà possano fare la spesa utilizzando un sistema a punti assegnati dai servizi sociali, in base alla situazione del nucleo familiare. L’Emporio è oggi diventato un punto di incontro tra volontariato, servizi comunali e terzo settore, dove si lavora anche su orientamento, gestione del bilancio familiare, percorsi di autonomia e sostegno personalizzato. È oggi uno dei 44 empori solidali oggi attivi in Emilia-Romagna, parte di una rete divenuta un tassello importante per le politiche di contrasto alla povertà alimentare.

Foto Pexels di Julia M Cameron

Guardando oltre la dimensione locale, ci sono esperienze nate in altre parti d’Italia che mostrano come il recupero del cibo possa diventare una pratica ordinaria, capace di tenere insieme aspetti ambientali, sociali e organizzativi, offrendo spunti utili anche per il contesto reggiano.

A Milano e Roma, l’associazione RECUP lavora direttamente nei mercati rionali, intercettando frutta e verdura che verrebbero scartate perché imperfette dal punto di vista estetico o perché rimaste invendute. Volontarie e volontari selezionano gli alimenti commestibili e li redistribuiscono gratuitamente attraverso banchetti aperti alla cittadinanza. Nel 2024 sono state recuperate oltre 320 tonnellate di cibo, grazie a una presenza costante nei luoghi in cui lo spreco si genera.

In Puglia, Avanzi Popolo 2.0 raccoglie eccedenze da negozi, imprese alimentari, cooperative agricole e famiglie, per poi ridistribuirle a organizzazioni sociali del territorio. Accanto al recupero più strutturato, nel tempo sono stati sperimentati strumenti pensati per intercettare anche le piccole quantità: una piattaforma di foodsharing tra cittadini e i “frigoriferi solidali” disseminati nei quartieri di Bari, utili per raccogliere e conservare prodotti freschi destinati a reti solidali. L’associazione affianca inoltre percorsi educativi e laboratori pubblici, rendendo il tema dello spreco parte di un lavoro continuativo con le comunità.

Un’altra esperienza significativa attiva anche in Emilia-Romagna è Babaco Market, servizio di consegna a domicilio che recupera frutta e verdura fuori dagli standard estetici della grande distribuzione, insieme a prodotti prossimi alla scadenza, offrendo tutto a prezzo ridotto.

Con un obiettivo analogo opera anche Too Good To Go, piattaforma digitale che consente di recuperare il cibo invenduto a fine giornata mettendo in contatto diretto attività commerciali e cittadini. Attraverso l’app è possibile prenotare a prezzo ridotto una delle “box” disponibili, contenente prodotti ancora perfettamente utilizzabili. Anche nel nostro territorio l’adesione è ampia e trasversale: forni, bar, ristoranti, supermercati e persino fiorai utilizzano lo strumento per valorizzare eccedenze e integrando il recupero del cibo nelle pratiche ordinarie di vendita e consumo. Si tratta quindi di iniziative diverse per obiettivi, scala e strumenti, ma che mostrano che il recupero del cibo funziona quando riesce a inserirsi nelle abitudini quotidiane, costruendo alleanze locali e soluzioni calibrate sui bisogni dei territori!

Pratiche quotidiane per ridurre lo spreco

Si è visto come parte dello spreco alimentare nasce nelle nostre cucine, non per disattenzione o incuria, ma perché la vita quotidiana scorre veloce e il cibo, quando l’accesso è facile e abbondante, rischia di perdere valore. Esistono però alcune abitudini semplici che possono fare la differenza, come ricorda l’Istituto Superiore di Sanità.

Tutto parte dagli acquisti: comprare con una lista, conoscendo ciò che si ha già in casa, significa evitare doppioni e ridurre ciò che finisce dimenticato in fondo al frigorifero. Anche le offerte richiedono attenzione: la convenienza del “3×2” svanisce se poi una parte del prodotto finisce nell’organico! Vale invece la pena aprirsi ai prodotti “brutti ma buoni”, spesso perfetti dal punto di vista nutrizionale, ma esclusi dai canali standard perché irregolari nella forma.

Un altro nodo riguarda le date di scadenza. Avere chiara la distinzione tra “da consumarsi entro”, che indica un limite di sicurezza, e “da consumarsi preferibilmente entro”, che riguarda più la qualità che la salubrità, permette di usare il cibo in modo più consapevole. In cucina, preparare porzioni adeguate aiuta a non generare eccedenze involontarie; se capita di cucinare troppo, molti avanzi possono diventare piatti nuovi: una frittata, una zuppa, un sugo improvvisato.

Anche i momenti di convivialità possono diventare un’occasione per ridurre gli sprechi: condividere ciò che avanza o portarlo a casa non è un gesto di cui vergognarsi, ma una forma di rispetto per il cibo e il lavoro che lo ha prodotto. Lo stesso vale al ristorante: come visto, chiedere la doggy bag è una pratica sempre più incoraggiata. Infine, quando si ha cibo in eccesso ancora buono, informarsi sui punti di raccolta attivi nella propria zona, dagli empori solidali alle iniziative di recupero, permette di trasformare una piccola eccedenza in una risorsa per qualcun altro.

Come spiegato, lo spreco alimentare non è solo una questione etica, ma anche sociale e ambientale. Sabar vede questi fenomeni da un punto di osservazione particolare: gestisce i rifiuti, ma lavora anche a fianco dei Comuni, delle scuole, dei cittadini. Per questo il tema del recupero del cibo rientra nei nostri obiettivi: meno spreco significa meno rifiuti organici, costi di smaltimento ridotti, minori emissioni e un ciclo del cibo più giusto e più efficiente, ma significa anche sostenere una rete territoriale, dagli empori solidali, ai progetti dal basso e alle iniziative educative, trasformando il recupero in un’azione concreta di cura collettiva.